L’etica del cambiamento

L’unica costante del moderno mondo è il cambiamento, ma tutti cerchiamo o diamo per presupposta o scontata, al contrario, una certa stabilità. Umanamente può essere comprensibile: le situazioni di incertezza mettono ansia; il battito cardiaco aumenta e una più o meno grande tempesta ormonale scombussola il nostro organismo. Un piccolo esempio di sequestro emotivo come lo definisce D. Golemann: la classica risposta di un sistema emotivo tipico del pleistocene chiamato ad un lavoro cui non ha avuto tempo di adattarsi

Certi cambiamenti non chiedono mica il permesso, arrivano e tu te li tieni, come il Covid-19. Poi che fai ? Una volta finito speri di tornare al più presto alla situazione di prima? Alla “normalità“?

Bene! Allora non ci siamo!!!

A ben vedere la vita è un succedersi di cambiamenti, se poi vogliamo far finta di nulla, allora è un altro discorso.

Che poi, diciamocelo, noi Italiani siamo specialisti solo dei cambiamenti fasulli, quelli che il grande Watzlawick definitiva cambiamenti di Tipo 1, quelli in cui cambi tutto per non cambiare nulla. I cambiamenti effettivi sono quelli di Tipo 2, quelli che portano a fare cose diverse. Vedi ancora Covid-19 come è stato bravo…. ci ha stravolto la vita. Mica come il legislatore che produce norme su norme, magliaia di commi, articoli, rinvii, regolamenti che poi nella realtà dei fatti non cambiano nulla o come gli apparati burocratici che producono solo “nuova” burocrazia..

Il cambiamento può dunque essere casuale, esterno, non voluto oppure strategico, voluto, ricercato: in ogni caso bisogna possedere strumenti per affrontarlo e gestirlo.

Strumenti che un professionista non può ignorare. Oggi il professionista deve possedere competenze che non sono più solo tecniche perché è questo che la complessità del mondo richiede: parlo ostrogoto anche stamattina, ma non sono l’unico, sono uno dei pochi e questo è preoccupante…Allora facciamo un giochino..

Come ti vedi, come professionista, tra 10 o 20 anni?

Se non ti sei mai fatto questa domanda è decisamente il momento di fartela, altrimenti il cambiamento di cui parlo sarà per forza di cose esogeno, stabilito da altri o dal caso.

Se invece ci rifletti e stabilisci quale futuro vorresti per te, potresti iniziare a chiederti come fare per farlo avverare davvero, per farlo uscire dal cassetto dei desideri. Sarà uno sporco lavoro, che richiederà del tempo perché non si tratta di un semplice e banale esercito di “volere è potere”, tutt’altro.

Si tratta di capire come fare e quindi di acquisire nuove conoscenze e competenze. Ma come si fa a cercare qualcosa che non si conosce? Dove sono queste conoscenze e competenze, ammesso che esistano? Esistono, esistono, ma non è che ti vengo a cercare, anzi sei tu che devi cercare loro: ma tu fai il professionista non hai tempo per fare ricerca.. e non sapresti neanche da che parte cominciare, forse.

Allora di chi è la responsabilità del non cambiamento?

In parte anche la tua, chiaro: da domani bussa alla porta del tuo Ordine professionale e chiedi: “Scusate che stiamo facendo per affrontare i cambiamenti del futuro? Visto che vi pago una quota di iscrizione non potrei ricevere un po’ di “formazione strategica” che mi consenta di capire come gestire l’incertezza?

Se voi non fate nulla e l’Ordine non fa nulla, tutto rimane fermo, questo mi pare chiaro. Se voi da soli pungolate l’Ordine, probabilmente verrete ignorati, allora dovrete coinvolgere qualche vostro collega, molti colleghi, tanti colleghi, tutti i colleghi che potete, parlarne al bar, mentre siete in fila all’ufficio oppure fate una dichiarazione pubblica in cui vi lamentate di non ricevere supporto adeguato, aprite un blog in cui vi lamentate, andate alla radio o alla televisione, non lo so, fate casino!

Se non fate nulla, di certo non otterrete nulla. E la responsabilità sarà anche la vostra.