Ho un desiderio: che le persone comuni, professionisti e politici, potessero leggere e comprendere le oltre 100 pagine della sentenza di Cassazione che ha confermato la condanna per concorso in omicidio e lesioni colpose dell’ex vice-capo della Protezione civile per avere incautamente comunicato, in occasione del terremoto dell’Aquila del 2009, che “lo sciame sismico in corso comportava uno “scarico di energia” da valutare positivamente“. Quel che viene rimproverato è l’effetto “rassicurante” che le parole pronunciate dal condannato hanno avuto su quelle persone che, fidandosi del parere di un esperto istituzionale, sono tornate a dormire in casa, finendo per restare uccise. Senza quel messaggio, infatti, le vittime avrebbero passato la notte in auto, in uno spazio all’aperto, come avevano fatto in precedenza. Difficile, molto difficile stabilire se quelle parole, da sole, in assoluto, abbiano potuto far cambiare idea: la Cassazione si accontenta però di una dimostrazione “relativa” in grado di fondare, che ci piaccia o meno, una condanna.
Nel dubbio, quel messaggio rassicurante non andava dato, almeno giuridicamente, ma io credo anche eticamente.
Se tutti potessero aver accesso a quella sentenza, credo che circolerebbero sul Covid informazioni diverse, comunicate in modo diverso, non solo sui social, ma anche sui giornali e telegiornali: la pronuncia è abbastanza in linea con sentenze simili e consente di immaginare quale sia il comportamento corretto da tenere di fronte ad un dubbio che può avere conseguenze disastrose. Non importa quanto sia probabile l’evento: si guarda solo alla gravità delle conseguenze: più sono gravi, più bisogna essere cauti. Detto così non sembra nemmeno tanto difficile da comprendere.
Se poi si riuscisse a leggere qualche libro sulla “comunicazione del rischio” o sulla “teoria della complessità” la situazione sarebbe ancora diversa. Senza dimenticare che oggi si trovano contenuti di grande qualità su internet, a patto di sapere come cercarli e di riuscire e a trovarli.
L’unica cosa che non mi sembra di aver letto o sentito da nessuna parte con sufficiente chiarezza è anche l’unica cosa che – sulla base delle mie conoscenze – credo possa funzionare in una situazione come quella attuale.
Il principio di precauzione. Un fiore mai sbocciato.
Tutti concentrati nella caccia al parere del “tecnico” di turno per supportare le proprie idee o desiderata, non ci si accorge che la conoscenza tecnica, da sola, non basta. I virologi, come gli scienziati non sempre hanno quella conoscenza certa che le persone comuni desiderano e cosa ancora più grave, non tutti lo sanno. Vedo ogni giorno una pericolosa battaglia tra minimizzatori e catastrofisti con in mezzo un sacco di indecisi.
Scienze dure e previsioni
Da una parte esistono, infatti, le scienze “dure” o “esatte” che hanno a che fare con i numeri, i quali lavorati con i supercomputer di oggi, possono fornire previsioni con un attendibilità o “intervallo di confidenza” definito: esempio classico sono le previsioni meteorologiche su 2-3 giorni, che in ampie porzioni di territorio possono essere accurate all’80%, o al 90%. Se però chiedi di prevedere una bomba d’acqua o un temporale estivo, in un paesino determinato, non potrai essere così preciso e se cerchi di capire dove passerà un uragano in tempo per valutare un’evacuazione, potresti rimanere deluso dal non aver azzeccato l’esito giusto.
Scienze morbide e scenari
In altri ambiti scientifici, infatti, la parola “previsione” è semplicemente bandita, giacché non è possibile prevedere alcunchè, come nel caso dei terremoti. La scienza sa diverse cose sulle forze elastiche che governano i movimenti della placche e sa anche che queste si muovo di pochi millimetri l’anno in Italia e di circa 10 centimetri l’anno in Giappone, ma in entrambi i casi nessuno prevede un sisma. Al massimo possiamo avere una mappa della pericolosità geografica (quasi zero in Sardegna, medio-alta lungo tutto l’Appennino, stretto di Messina o Friuli ad esempio..).
Poi ci sono le epidemie
Il virus dove lo mettiamo? O meglio, la diffusione del virus, dove la mettiamo ? E non è la stessa cosa!
Il virologo può sapere tante cose sulla capside proteica che contiene acido nucleico (RNA o DNA), ma come si propaga è un’altra questione. Non basta sapere di biologia e chimica, ma anche di come funzionano i sistemi complessi. E le reti, attraverso le quali può circolare. Tutt’altro problema che di certo non è appannaggio di alcuna scienza esatta o dura: non bastano equazioni differenziali e leggi sulla dinamica dei fluidi. Non basta nemmeno un battaglione di supercomputer.
Chi dovrebbe dire quanto ne sa davvero la scienza in un certo campo?
Beh, semplice: la scienza stessa! E se non lo fa? Se nessuno viene in televisione a dirti che le previsioni, in senso tecnico, non sono in grado di farle? Come ci rimarrebbe l’opinione pubblica (povera piccola..)?
Ci vorrebbe un comunicatore, anche politico, eticamente responsabile: uno che conosce gli effetti positivi e negativi ed anche quelli indesiderati dei suoi atti comunicativi: il rischio è di sbagliare sia spaventando che rassicurando.
Da stratega della domenica mi chiedo: nel dubbio che è meglio fare?
La risposta sarebbe in teoria scontata, ma in pratica non lo è affatto. Per il principio di precauzione è chiaro che dovrei limitare i contatti, ma questo avrebbe dei costi sociali ed economici. E se cominci a pensare che questi sono troppo alti, allora sei fottuto. Stai buttando la precauzione nello sciacquone e per non sentirti in colpa, puoi elaborare – anche inconsapevolmente – fantasiose teorie più o meno complottiste, prendertela con il Governo di turno (specie se non è del tuo colore preferito), il tecnico, lo scienziato, la Corporation che vuole appiopparti costosi vaccini, i grandi manipolatori portatori di non si sa quale (ignoto) interesse e via dicendo.
Tutti meccanismi difensivi per rifiutare la cd. “conoscenza scomoda” (altro fenomeno noto e studiato), quella che cozza con il tuo mindset o sistema di credenze e che ti costringe(rebbe) a vedere l’incertezza del mondo e la sua profonda ingiustizia: tutta roba che urta con quel famigerato “senso comune” che ti sei costruito – senza decidere nulla – nei primi 20-30 anni di vita.
Una comunicazione responsabile basata sulla nostra ignoranza, ovviamente, non paga nemmeno in termini di consenso ed è ovvio che chi ci tiene al ruolo, alla poltrona, alla sua immagine, non la vuole fare.
E non pensate che io sia fortunato ad avere una “diversa consapevolezza”: se sto qui a scrivere e a riflettere in questi termini è perché ho cominciato a pensare, da qualche anno, che fosse il caso di leggere e studiare, rinunciando a qualcos’altro. Da tempo ho il dubbio che la scuola e le istituzioni, ma anche la famiglia e gli amici che stimo di più possano non sapere quello che c’è da sapere per prendere decisioni oculate e ponderate.
Per farti venire questi dubbi però devi fare un po’ di ricerca senza sapere bene cosa devi cercare, con la mente libera, senza interessi o ideologie: così passi da una conoscenza ad un’altra leggendo i libri, gli autori e gli studi citati nelle note di quello che stai leggendo. Dopo qualche anno riesci a mettere insieme un po’ i pezzi per costruirti una tua piccola, personale epistemologia, un tuo modo di vedere il mondo e rappresentarti la realtà. Se questo percorso autonomo e casuale non lo fai, restando nell’ambito della conoscenza che ti viene fornita dall’ambiente a cui appartieni, sarai una specie di cane attaccato ad una catena: per quanto si muove non potrà mai andare oltre il cerchio che la lunghezza del vincolo gli consente. E’ un po’ paradossale, ma questo tipo di conoscenza si basa sulla contaminazione: il passaggio di conoscenza da un ambito ad un altro.
D’altra parte non esistono il bene ed il male assoluti. E’ il fine che colora gli strumenti – quelli sì neutri – che utilizziamo, consentendoci di definire qualcosa in termini positivi o negativi.
Che bel mondo assurdo: per capire come funziona la contaminazione, bisogna contaminarsi.
I dati da soli non parlano e capirli non è agevole: come notava il famoso scienziato e filosofo Jules-Henri Poincaré “è vero che una casa è fatta di pietre, ma un mucchio di pietre non è una casa..“
Questa è la realtà che spesso bisogna affrontare; finché i dati non sono chiari e univoci, le strutture e le relazioni tra di loro non sono comprovate, bisogna tenere la guardia alta, senza esagerare con gli allarmismi. Nell’epidemia di Ebola, ad esempio Rosling riporta che: “i liberiani avevano modificato efficacemente il loro comportamento, evitando ogni contatto fisico superfluo. Niente strette di mano, niente abbracci. Questo, e la scrupolosa obbedienza alle severe norme igieniche imposta in negozi, edifici pubblici, ambulanze, ambulatori, cimiteri eccetera, stava già avendo l’effetto desiderato..:“
Alcune fonti (queste sconosciute):
- la sentenza di Cassazione dal sito https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/4613-la-cassazione-sul-terremoto-dell-aquila
- Francesco Sylos Labini, Rischio e previsione. Cosa può dirci la scienza sulla crisi. Laterza, 2016
- Andrea Cerase, Rischio e comunicazione. Teorie, modelli, problemi. Egea, 2017
- Edgar Morin, A. Anselmo, G. Gembillo. La sfida della complessità. Le lettere, 2017
- Hans Rosling, Factfulness, Rizzoli, 2018